In Sicilia la burocrazia frena un progetto di restauro innovativo.



    

Si dice spesso che il “petrolio” italiano è il nostro straordinario patrimonio culturale. Un’affermazione che, al netto della retorica anti-industriale di cui pure siamo maestri, è senz’altro vera, ma dalla quale purtroppo non traiamo le debite conseguenze. Come si sa, cultura va a braccetto con turismo, e cioè con opportunità e sviluppo che possono anche assumere le forme del “mecenatismo culturale” come prevede il cosiddetto “Art Bonus” introdotto dal decreto legge 31.5.2014 n. 83, “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”: in sostanza, il bonus consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano.

Tuttavia, lo strumento si è spesso scontrato con la dura realtà, come in Sicilia, dove nel 2017 solo diciotto erogazioni liberali hanno riguardato la splendida Isola, su un totale di 2.394 in tutta Italia!

4Ward360 Nanotechnology, un’azienda italiana con sede a Milano e che si occupa di nanotecnologie, intende offrire il proprio contributo a titolo gratuito realizzando la pulizia straordinaria della facciata della cattedrale di Caltabellotta (Agrigento) – che tra l’altro è in odore di entrare “nelle grazie” dell’Unesco. “Abbiamo analizzato il patrimonio a rischio in Sicilia, da San Giovanni degli Eremiti alle cave di Cusa di Selinunte – ha spiegato l’amministratore unico della società, Sabrina Zuccalà. Si tratta di beni da salvare e che solo le nanotecnologie sono in grado di recuperare dal degrado”.

La stessa azienda, nel 2016, ha realizzato un intervento sulla piazza Duca d’Aosta, a Milano, grazie alla collaborazione con il Comune meneghino. In Sicilia invece solo “porte chiuse” dice Zuccalà. Eppure la tecnologia in questione è altamente innovativa e altrettanto riconosciuta, con notevoli benefici per tutti gli aspetti conservativi. Ma quali sono le ragioni del muro di gomma siciliano? Pare che almeno in una prima fase vi sia stato il diniego opposto dalla Diocesi di Agrigento, ma tra le cause principali Zuccalà individuava la “difficoltà a trovare un’interlocuzione con le istituzioni” e, soprattutto, l’assenza di controllo sui progetti di restauro e conservazione dovuto alle scarse risorse delle Soprintendenze, non più “abituate” alla valutazione di studi e progetti di restauro, figuriamoci alla libera iniziativa di un’avanzata azienda privata. Ad ogni modo, le divergenze sembra stiano appianandosi e a breve dovrebbe svolgersi un tavolo tecnico presso il comune di Caltabellotta per definire le procedure di autorizzazione. Non resta che incrociare le dita.

L’articolo su Quotidiano di Sicilia

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