In Sicilia occorrono in media quasi sette anni per portare a compimento un’opera pubblica, in Basilicata sei. Lo dicono i dati elaborati dall’Unità di verifica degli investimenti pubblici (Uver) del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (Dps) del Ministero dello Sviluppo economico che certificano – numeri alla mano – i ritardi cronici del Paese sul tema dello sviluppo infrastrutturale.
Troppa burocrazia e troppo pochi stimoli alle imprese che hanno voglia di investire, così si può riassumere il quadro consegnatoci dagli uffici di Via Veneto. La “classifica” del MiSE si basa su una stima dei tempi necessari per concludere l’iter delle fasi principali di cui si compone la realizzazione di qualsivoglia opera come, per esempio, l’ammodernamento di un impianto (si pensi solo al grande tema del revamping eolico): tra progettazione, affidamento e completamento dei lavori, la regione più virtuosa è l’Emilia Romagna con 3.8 anni mentre al Centro e al Sud Italia si viaggia stabilmente su una media di 4.5 anni prima che il famigerato nastro venga tagliato.
I casi eclatanti, come detto, sono quelli di Sicilia e Basilicata che purtroppo non smentiscono che il Paese viaggia a velocità diverse a seconda della latitudine. “In Sicilia, molto di più che nel resto d’Italia, spesso si gioca a far rimbalzare le responsabilità che andrebbero assunte per dovere d’ufficio, perfino sulle situazioni più urgenti e delicate”, ha commentato a caldo Michele Cappadona, presidente per la Sicilia dell’Associazione Generale delle Cooperative (Agci).
Burocrazia cervellotica e tempi lunghi nella PA significano anche fondi europei che tornano a Bruxelles e la Sicilia ne sa qualcosa visto che un paio di mesi fa ha dovuto restituire ben 117 milioni del Fondo per lo Sviluppo Regionale 2007-2013. Una regione come la Sicilia – insiste Cappadona – “dovrebbe ricorrere alle produzioni locali, valorizzarle e scommettere sulla vocazione naturale dei territori” ma per le imprese è tutt’altro che semplice confrontarsi con una burocrazia pesante “e con un costo tanto più alto quando questa risulta inefficiente”. Vi è poi il tema nazionale dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni con l’Italia che ha sì recepito la direttiva europea ma ha molto da migliorare per la piena attuazione, in particolare, come suggerisce Agci Sicilia, evitando di moltiplicare le procedure burocratiche a carico delle imprese e senza coinvolgere eccessivamente gli istituti bancari.