Trasparenza e partecipazione

Opinione

16-01-2016     * Emilio CONTI, Università IULM di Milano e consulente di Public Affairs Advisors

Le opposizioni a nuovi impianti e nuove infrastrutture non sono solo espressione delle paure legate ai loro possibili impatti sull’ambiente e sulla qualità della vita, ma rivelano sempre più la necessità di chiarezza negli iter procedurali e la richiesta di un maggior coinvolgimento dei territori. Quest’ultimo aspetto accomuna comitati, cittadini, organizzazioni no profit e gli stessi enti pubblici, indipendentemente dall’appartenenza politica dell’amministrazione in carica.

La trasparenza, il coinvolgimento e la partecipazione dei territori sono infatti oggi forse gli unici elementi a disposizione per poter superare questa impasse che nei fatti impedisce nel nostro Paese, da Nord a Sud, la realizzazione di una qualsiasi nuova opera o impianto industriale. Utilizzare per il confronto, come purtroppo fanno ancora molte imprese, esclusivamente le iniziative previste dall’iter autorizzativo è oggi completamente irrealistico. Forse in altre Nazioni è diverso, ma da noi è purtroppo così!

In Italia, in assenza per ora di una normativa che disciplini un processo partecipativo in occasione di nuovi progetti infrastrutturali, come avviene in altri stati dell’Unione Europea – con il Débat publique in Francia o con il Sustainable Communities Act in Gran Bretagna – ci si deve purtroppo affidare alla “buona volontà” delle singole realtà imprenditoriali per mettere in atto un percorso partecipato. Ma non è sempre facile e le resistenze sono spesso molto più forti di quello che ci si potrebbe aspettare, in particolare se ci si volta indietro e si osserva cos’è successo in quest’ambito in Italia negli ultimi 10 anni.

È però indispensabile precisare la differenza sostanziale tra processo partecipato e creazione del consenso. Termine, quest’ultimo, che è stato molto abusato negli anni per indicare il coinvolgimento dei territori. Consenso identifica un percorso per convincere gli interlocutori sulla bontà del proprio progetto, mentre partecipazione indica il coinvolgimento attivo dei diversi soggetti, anche attraverso un percorso di ascolto attento, nella definizione del progetto per arrivare a una soluzione condivisa che soddisfi le esigenze di tutti, azienda e territorio. Sono dunque due percorsi differenti e la loro percezione da parte in particolare degli stakeholder territoriali è sicuramente molto diversa. E molto spesso è proprio la percezione, negativa o positiva, che condiziona fin dall’inizio tutte le fasi di realizzazione di una nuova opera.

Dar vita a un processo partecipativo dunque significa instaurare un dialogo fin dalle prime fasi della progettazione, in modo da poter avviare un rapporto trasparente e lineare che ha lo scopo di fare chiarezza sul reale contenuto tecnico del progetto, sulle sue effettive conseguenze sull’ambiente, negative o positive, e sui possibili benefici diretti o indiretti per il territorio, marginalizzando di fatto coloro che per motivi personali (o per interesse di un gruppo) intendono speculare sul progetto con argomentazioni populistiche e spesso non rispondenti alla realtà. Un approccio di questo genere è sinonimo di trasparenza e di volontà di confronto.

Il percorso partecipato dovrebbe vedere in prima posizione, oltre alle aziende, le Pubbliche amministrazioni locali che avrebbero solo da guadagnarci partecipando attivamente a un processo di dialogo e di confronto trasparente tra soggetti privati e territorio. Solo in questo modo infatti un ente pubblico locale può farsi carico sia delle istanze dei cittadini sia delle esigenze delle aziende per un effettivo e reale beneficio del territorio che amministrano.

Per un corretto processo partecipato, è importante mettere in campo strumenti specifici, quali incontri e punti di ascolto, strumenti web, focus group, workshop, comitati multistakeholder, comitati consultivi, Forum permanenti. Il tutto in un’ottica di dialogo e condivisione oggi sempre più necessaria.

Avviare progetti partecipati significa quindi sviluppare delle attività di engagement con gli stakeholder. La comunicazione (intesa nel senso classico del termine) in questi ambiti è indispensabile, ma deve essere intesa come uno strumento di supporto all’engagement.

L’esperienza sul campo maturata negli anni, suggerisce che sempre di più si debba andare verso un’inclusione degli stakeholder nel processo decisionale, altrimenti il rischio è un blocco, un rifiuto. È indispensabile superare la diffidenza e le paure che purtroppo molte aziende hanno nell’aprirsi al dialogo e all’ascolto del territorio. Solamente costruendo delle reti solide con stakeholder diversi è possibile condividere i progetti e far sì che si possa sviluppare un nuovo modo di infrastrutturare il Paese in modo da soddisfare le esigenze dei soggetti proponenti e degli stakeholder territoriali, tutelando nel contempo dell’ambiente.

* Laureato in biologia a Milano, ha lavorato come ricercatore universitario in Francia – Université Paris VI e Istituto Pasteur – e a Milano – Università degli Studi e CNR. Da oltre vent’anni svolge attività di consulenza aziendale nei settori della comunicazione d’impresa, delle relazioni pubbliche e nelle relazioni istituzionali e industriali. Insegna Comunicazione ambientale presso l’Università IULM di Milano. Tra gli ideatori e organizzatori del Festival dell’Energia e del NimbyForum, il primo Osservatorio media permanente sui conflitti ambientali e territoriali, di cui è stato il Responsabile scientifico fino al febbraio del 2012.  

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