Siamo nel pieno dell’autunno a Bruxelles, e le attività fervono. La decisione della Conferenza dei Presidenti del Parlamento europeo di impedire ai lobbisti Monsanto l’ingresso alle proprie sedi istituzionali, a seguito del rifiuto di questi di rispondere alla convocazione della Commissione parlamentare che segue il dossier sul rinnovo del pesticida ‘glifosato’, continua a far scalpore. Molti hanno applaudito la decisione, e la presa di posizione del Parlamento, che ha affermato così le proprie competenze, e la facoltà di sanzionare i rappresentanti di interessi – un’ipotesi che, almeno fino a tempi recenti, era più di scuola che reale. I consensi, tuttavia, non sono stati unanimi. Alcuni hanno ricordato che, oltre alla Monsanto, l’invito era stato declinato anche da altre aziende, tra cui Amazon, Barclays, Fiat Chrysler, Google, Ikea, McDonalds, Disney e Coca-Cola. L’unica differenza rispetto a Monsanto, che sul rifiuto non aveva dato motivazioni, erano le ragioni dell’impossibilità a presenziare: quasi sempre impegni già presi, improrogabili. Troppo poco, secondo i critici, per giustificare una sanzione nei confronti di una sola azienda.
Su un punto però sono tutti d’accordo: le regole attualmente in vigore sul lobbying non sono più adeguate a garantire trasparenza e correttezza delle relazioni tra rappresentanti di interessi e Istituzioni. Casi come quello del Parlamento ne sono l’esempio lampante. Servono regole più chiare e, secondo alcuni, più severe. La prova? Basta guardare all’agenda istituzionale. In queste settimane si avviano a conclusione i negoziati in tema di energia, tra cui quello sull’Emission Trading System e quello sull’efficienza energetica. Solo nel 2016 – ha rivelato uno studio recente – le aziende del settore energetico hanno investito 100 milioni di euro in attività di lobbying, e una forza-lavoro di oltre 1000 lobbisti, circa il doppio di quelli che lavorano a DG Energia. Un traffico congestionato che ha finito per rallentare, anziché facilitare, il processo decisionale. Senza contare che, sostengono gli ambientalisti, di questo passo sarà impossibile garantire il rispetto degli accordi di Parigi sul climate change.
Il processo di riforma però è ancora fermo. Al Consiglio dell’Ue sembrerebbe aprirsi la possibilità all’adesione al registro della trasparenza. Il vero nodo però rimane quello del Parlamento: sono ancora troppi gli eurodeputati che guardano con scetticismo alle norme che li costringerebbero a rendicontare ogni incontro con i portatori di interessi, minandone – sostengono alcuni – la libertà decisionale. Pochi si aspettano sorprese prima di Natale. Il passo decisivo, se ci sarà, dovrà essere necessariamente dopo le festività.
* L’articolo è stato pubblicato sul blog di Riparte il Futuro il 13 novembre 2017