Semplificare e sburocratizzare: le priorità dei Comuni italiani secondo Di Primio (sindaco di Chieti)

Intervista

08-03-2018     Andrea PICARDI

“Bisogna semplificare il sistema normativo ed eliminare tutte le leggi che vincolano i comuni nel loro potere di spesa: di fatto determinano un annullamento del principio cardine dell’autonomia locale”. Parola di Umberto Di Primio, sindaco di Chieti dal 2010, esponente del centrodestra abruzzese e presidente del Comitato di settore dell’Anci – ogni giorno in trincea tra problematiche di tutti i tipi come migliaia di altri amministratori locali in tutto il Paese.

Sindaco, qual è la situazione dal punto di vista dei trasferimenti statali? Quanto è duro il quadro per i Comuni italiani?

Questi sono stati anni difficilissimi per gli enti locali a causa dei tagli che abbiamo dovuto subire fino all’azzeramento dei trasferimenti erariali. E ciò, ovviamente, ha compromesso la capacità di investire sul territorio soprattutto nelle città di piccole e medie dimensioni. C’è stato un vero e proprio blocco dell’economia territoriale con tutte le ripercussioni del caso: d’altronde se un ente locale investe, ne beneficia l’intera comunità, si realizzano infrastrutture e si garantisce sviluppo economico e progresso ai territori.

A Chieti cos’è successo in questo senso? Quanti fondi ha visto arrivare nella sua città?

Quando sono stato eletto per la prima volta nel 2010, lo Stato trasferì al comune 14 milioni e mezzo di euro che ho investito sul territorio, in particolare in opere pubbliche. Dopo la mia rielezione – dal 2016 in poi – i trasferimenti erariali statali sono stati invece praticamente azzerati. Non solo: la necessità di contribuire al fondo di solidarietà nazionale ha sottratto ulteriori risorse alle casse comunali. Dall’altra parte invece – come se non bastasse – esistono norme che limitano fortemente la capacità di investimento dei comuni.

A cosa si riferisce?

Cito i tre provvedimenti che, a mio avviso, strozzano di più la capacità di spesa dei comuni. Innanzitutto il patto di stabilità che impedisce alle amministrazioni, anche a quelle con disponibilità finanziarie, di fare investimenti superiori a un certo limite. Questa impossibilità di investire, e spesso di pagare, ha messo in crisi le imprese che lavorano con la pubblica amministrazione.

La seconda e la terza misura invece quali sono?

La certificazione dei requisiti di bilancio – che rappresenta un ulteriore elemento di rigidità della finanza pubblica – e, soprattutto, il Fondo crediti di dubbia esigibilità. Con questo fondo – per un meccanismo che determina l’impossibilità di spendere rispetto alla cresciuta incapacità di incasso –  se un comune vanta un credito nei confronti di un cittadino, di un’impresa o di un altro ente, deve conteggiare lo stesso credito come una sorta di peso nella capacità di spesa. In altre parole: se non riesco a incassare viene congelata anche la mia disponibilità economica e non posso neppure investire.

Il sistema imprenditoriale abruzzese come se la passa?

La questione principale è la delocalizzazione delle imprese, che ha causato un forte impoverimento del territorio. A Chieti, ad esempio, sono rimaste solo due grandi imprese metalmeccaniche.

Concretamente quali sono i problemi principali a suo avviso?

In primis l’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche che spesso non sono all’altezza della situazione, in particolare nelle aree industriali. Non tutte, ad esempio, sono servite dalla fibra: un elemento oggi imprescindibile che, in pratica, equivale a ciò che le autostrade rappresentavano cinquanta anni fa era per il trasporto. E poi abbiamo difficoltà con il sistema di erogazione dell’energia che non sempre ha caratteri di continuità: una problematica che avvertiamo anche a Chieti e che determina in alcuni casi una minore capacità produttiva.

A Chieti come dialogate con il mondo produttivo?

Per tentare di sostenere imprese e attività commerciali della nostra città, abbiamo introdotto una serie di agevolazioni sulla Tari, l’unica tassa che il comune è in grado di modulare agevolmente. Si tratta di un segnale e non di una soluzione evidentemente, che serve però a mandare un messaggio chiaro agli imprenditori: chi investe su questo territorio, è il benvenuto. Anzi, molto di più.

Dal punto di vista delle aziende la burocrazia rimane uno dei problemi più sentiti. E’ cosi?

Una riforma della legge Bassanini del ‘97 è necessaria. Aver consegnato completamente alla burocrazia la gestione della macchina comunale è stato un gravissimo errore. La pubblica amministrazione spesso non è sufficientemente aggiornata mentre la farraginosità delle norme dilata eccessivamente i tempi di risposta, con evidente danno delle imprese in termini di competitività. Peraltro il blocco del turnover – che oggi non esiste più – ci ha consegnato per quasi dieci anni un personale con un’età media troppo elevata.

I provvedimenti fondamentali che vorrebbe veder approvati nell’interesse dei comuni quali sono?

Innanzitutto è necessaria una sforbiciata a tutte le norme inutili: urge semplificare la fase autorizzativa. Poi bisogna rafforzare e rendere produttiva la conferenza dei servizi che deve diventare il luogo in cui, in unica soluzione, si danno tutte le risposte a chi fa richieste al comune: non è tollerabile questa interlocuzione infinta che blocca i progetti per anni. Dobbiamo trovare il modo di agevolare chi vuole investire nei nostri territori e, allo stesso tempo, essere rigidi sui controlli. In ultimo i comuni dovrebbero avere maggiore autonomia in tema di bilancio e personale: oggi siamo vincolati da troppe norme.

In Anci il suo impegno in cosa consiste?

Sono uno dei vicepresidenti e guido anche il Comitato di settore, l’organismo che ha prodotto l’atto di indirizzo per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione fermi da dieci anni. Un bel risultato.

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