La doppia economia del Belpaese

Opinione

24-11-2015     Giusy MASSARO

Una caratteristica rilevante dell’economia italiana è sempre stata il forte divario tra l’area settentrionale e quella meridionale del Paese. Si propone, in questo articolo, una breve analisi di alcuni dei principali indicatori economici allo stato attuale.
Guardando alla misura principe del benessere di un territorio, non stupisce trovare la Lombardia in testa alla classifica, con un PIL nominale pro-capite di ben 226 milioni di euro ogni mille abitanti: nessuna delle altre regioni è in grado neppure lontanamente di reggere il confronto, registrando valori ben al di sotto e nell’ordine di poche decine di milioni di euro per migliaia di abitanti. La figura sotto mostra in maniera evidente il netto distacco tra Sud e Centro-Nord: si pensi che le migliori tra le regioni del Mezzogiorno (Molise e Sardegna) registrano un PIL nominale pro-capite pari al 60% di quello della migliore regione del Centro (il Lazio) e solo all’8% di quello della Lombardia.

pil_nominale_regionaleA primeggiare anche in termini di PIL reale – in larga parte grazie all’apporto proprio della Lombardia – è, non a caso, il Nord Ovest che, nonostante il forte calo (generalizzato, ovviamente) rilevato nel 2009 registra una crescita di quasi il 3% rispetto all’anno 2000; tassi di crescita positivi – ma più contenuti – anche per le altre aree geografiche, ad eccezione del Sud, dove il PIL reale è diminuito addirittura di quasi il 10% nei 13 anni di osservazione. Migliore la situazione se si limita l’attenzione alle esportazioni. Le nostre vendite all’estero hanno infatti retto anche al forte colpo della crisi: primo tra tutti è sempre il Nord, con una crescita tra il 2000 ed il 2014 molto interessante, soprattutto nelle regioni nord-orientali (+57%); variazioni positive e consistenti anche al Centro (53%) e al Sud (27%), sebbene queste aree restino su valori assoluti decisamente inferiori – si parla di un valore delle esportazioni pari alla metà o anche un quarto, nel caso del Mezzogiorno, rispetto alle regioni settentrionali. Non stupisce un simile risultato: da sempre l’Italia settentrionale gode di un tessuto imprenditoriale ben più sviluppato che in altre aree. Appare, invece, interessante notare, a tal proposito, che il 50% delle imprese complessivamente presenti sul territorio nazionale è concentrato nelle prime 5 regioni, tra le quali compare la Campania, dove opera il 9% delle imprese totali. Stupisce, questo dato, perché ad una presenza consistente di imprese – in numero addirittura leggermente superiore al Veneto, regione nota per la sua vocazione imprenditoriale – non corrisponde una creazione di valore aggiunto altrettanto ragguardevole (lo stesso numero di imprese riesce, ad esempio, ad esportare per un valore pari a solo 1/6 di quello veneto) e stenta fortemente a creare benessere: se si guarda al PIL reale della Campania, infatti, si scopre che è solo i 2/3 di quello veneto.

distribuzione_regionale_delle_impreseÈ allora evidente che qualcosa è carente: uno, tra i tanti possibili elementi scatenanti e che sarebbe interessante analizzare congiuntamente (dimensione delle imprese, condizioni di lavoro, economia sommersa, carenze infrastrutturali, difficoltà di accesso al credito, e così via…), è forse la scarsa propensione all’attività innovativa. Due indicatori che proponiamo in questa sede sono la percentuale dei ricercatori impiegati nelle imprese rispetto alla popolazione residente nella regione ed il numero di start-up innovative presenti, sempre ponderato per la popolazione regionale. Rispetto alla prima grandezza, la prima delle figure che seguono mostra, ancora una volta, un considerevole divario tra Nord e Sud. In Campania, ad esempio, per ogni milione di abitanti, 5 sono i ricercatori impiegati nelle imprese: 2 volte tanto in Veneto, 3 volte tanto in Lombardia. Molto peggio nelle altre regioni meridionali. Con riguardo alla seconda grandezza, altrettanto chiara è la situazione: appare evidentemente più complicato, nel Mezzogiorno, avviare un’attività d’impresa innovativa, con valori che vanno dalle 40 alle 50 start-up (per milioni di abitanti) fondate nelle regioni meridionali, contro valori ben più elevati che arrivano alle 120 e più di regioni come Emilia Romagna e Marche, fino addirittura alle 151 del Trentino Alto Adige.

ricercatori_impiegati_nelle_imprese_sulla_popolazione_totalenumero_di_start-up_innovativeDa questa breve e certamente parziale analisi, appare evidente che ancora permane un ormai radicato divario Nord-Sud rispetto alla capacità di avvio ed in certi casi all’efficacia delle attività produttive avviate, che seppur legata – come già accennato – ad un insieme di numerosi fattori, spesso anche di matrice culturale e storica, rende chiara l’assoluta necessità di una profonda ed efficace interazione tra amministrazioni pubbliche ed imprese, allo scopo di creare condizioni favorevoli all’attività di impresa e, dunque, di migliorare la competitività dei singoli territori, prima, e del sistema Italia, poi.

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