L’insensata via crucis del TAP tra vecchia e nuova Strategia Energetica Nazionale

Opinione

13-04-2017     Stefano DA EMPOLI

È singolare (o forse no) che l’innalzamento delle tensioni sui lavori per l’approdo in Puglia della Trans Adriatic Pipeline (8 km in tutto in territorio italiano, al termine di un percorso totale di 878 km, ai quali aggiungerne più di 2.500 fino ai giacimenti di produzione in Azerbaijan) avvenga nelle settimane in cui si sta scrivendo la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN), che dovrebbe mandare in soffitta la precedente, concepita nel 2012 e approvata in via definitiva all’inizio del 2013.

Tra i quattro principali obiettivi della vecchia SEN compariva la maggiore sicurezza degli approvvigionamenti, in particolare del gas naturale, che passa in misura significativa attraverso una diversificazione dei Paesi fornitori. In realtà, la SEN del 2013 puntava anche sull’aumento della produzione nazionale ma, con tutto l’ottimismo del caso, sarebbe stato al più temporaneo e limitato. Peraltro, non è andata neppure così, visto che la produzione nazionale di gas è scesa dai 6,3 Mtep del 2013 ai 5,5 Mtep del 2015.

Il problema è che neppure sul fronte della diversificazione dei Paesi di provenienza del gas importato si sono fatti progressi (dopo l’apertura del terminal di rigassificazione di Rovigo, ormai risalente al 2009, che permise l’ingresso del Qatar nella lista dei fornitori dell’Italia). Anzi, semmai si è registrato un regresso, con un aumento dell’import dalla Russia passato da 15,0 milioni di Smc nel 2010 a 27,7 milioni di Smc nel 2015. Di fatto oggi importiamo il 45% del nostro gas da un solo Paese con il quale per di più i rapporti stanno attraversando una fase non idilliaca.

In questo quadro certamente critico, appare insensato l’ostruzionismo a un’infrastruttura come TAP, l’unico nuovo progetto significativo rimasto in piedi nel gas tra quelli citati nella SEN del 2013 (nel frattempo sono andati in soffitta il Galsi e il South Stream, che d’altronde non avrebbero diversificato ma semmai avrebbero aumentato la dipendenza rispettivamente da Algeria e Russia mentre di rigassificatori, a parte quello di Livorno, di dimensione poco significativa, non se ne intravedono alla vista per il prossimo futuro). Eppure, a quasi tre anni dalla Valutazione d’impatto ambientale, rilasciata dal Ministero dell’Ambiente nel settembre 2014, e a due anni dall’Autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero dello Sviluppo Economico nel maggio 2015, i lavori sono a uno stadio ancora iniziale. Lo stop all’espianto temporaneo di poco più di 200 ulivi, imposto prima dal prefetto di Lecce (in attesa di un parere del Ministero dell’Ambiente) e poi del TAR del Lazio (in attesa dela discussione dell’istanza cautelare prevista il prossimo 19 aprile), rischia di far passare un altro anno inutilmente, visto che con l’arrivo dell’estate non sarà più possibile procedere.

Un paradosso che diventa ancora più amaro nella sua insensatezza (gli ulivi saranno ricollocati nella loro posizione originaria, dopo il temporaneo invasamento in un centro specializzato) se si considera che per i recenti lavori dell’Acquedotto Pugliese, che ha condotto all’espianto temporaneo di 2500 ulivi, non si sono levate particolari proteste. Tantomeno dalla Regione, che è salita rapidamente sulle barricate per TAP (nelle sue componenti più politicizzate, visto che, ulteriore paradosso della vicenda, i tecnici del Dipartimento Agricoltura hanno dichiarato l’espianto del tutto conforme) ma da prima azionista dell’Acquedotto Pugliese si è seduta comodamente in poltrona appena un anno fa. Forse alcuni ulivi sono più uguali di altri, per dirla con George Orwell.

A riprova ulteriore che opere di interesse strategico per il Paese (ma anche per l’Unione europea, che considera TAP e il Corridoio Sud tra le priorità della propria politica energetica) non possono rimanere ostaggio di interferenze locali, una volta terminato il percorso autorizzativo. Perso il treno ad alta velocità del referendum dello scorso dicembre, che avrebbe restituito allo Stato le competenze sulle questioni energetiche di rilievo nazionale, occorre salire almeno sull’intercity del débat public e di altre riforme amministrative se non vogliamo farci del male da soli. Un tema, quello della frammentazione delle competenze e dell’incertezza decisionale, che dovrebbe trovare spazio nella nuova Strategia Energetica Nazionale. Che inevitabilmente annovererà il TAP tra i progetti più strategici. E, purtroppo, ancora da venire. Prima o, più probabilmente, poi.

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