Gli amministratori locali sono una risorsa per il Paese. Parola di Pascucci (sindaco di Cerveteri)

Intervista

12-02-2018     Andrea PICARDI

Classe 1982, con un dottorato di ricerca sull’Intelligenza Artificiale, Alessio Pascucci dal 2012 è il primo cittadino di Cerveteri, comune di quasi 40.000 abitanti a Nord di Roma. Tre anni fa ha fondato “Italia in Comune”, un’associazione di amministratori locali – ne fanno parte oltre 400 da tutto il Paese – che si è poi trasformata in un vero e proprio movimento politico. Il tre dicembre scorso si è tenuta la prima convention, mentre l’11 febbraio l’incontro che ne ha sancito la costituzione ufficiale. Pascucci ne è stato nominato coordinatore nazionale insieme al sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. “L’obiettivo” – ha dichiarato il primo cittadino di Cerveteri in questa intervista – “è riuscire a costruire una nuova classe dirigente a partire dall’esperienza acquisita sui territori da centinaia di amministratori locali”. Molto spesso costretti a fare di necessità virtù per via dell’atavica scarsità di risorse con cui convivono i Comuni italiani, soprattutto i più piccoli. Tutti argomenti che Pascucci ha affrontato in questa conversazione nella quale ha fatto anche il punto su alcune delle iniziative in programma a Cerveteri.

 

Partiamo dal tema degli investimenti pubblici sul territorio. Come sindaco quanto riesce a incidere in tal senso?

Purtroppo nel campo degli investimenti pubblici i sindaci hanno poco potere decisionale. Il pareggio di bilancio non ci consente di utilizzare tutti i fondi che abbiamo a disposizione. Lo Stato centrale ha ridotto fortemente la capacità di investimento dei comuni: ci sono miliardi di euro fermi che, invece, si potrebbero spendere. Questo è un danno all’economia non solo dei singoli comuni ma di tutto il Paese.

Un problema che ha sperimentato direttamente anche nella sua esperienza?

Quando sono diventato sindaco nel 2012, ho trovato risorse che però non era possibile spendere. Se avessi potuto farlo, avrei realizzato servizi per i cittadini e contribuito a rimettere in moto, almeno in parte, l’economia non solo cittadina. Avrebbero lavorato le ditte, gli operai, i fornitori. Quei soldi, insomma, avrebbero creato pil.

E gli investimenti dei privati? Che tipo di lavoro fate come Comune?

Sono orgoglioso di poter dire che nella nostra città è in corso un’operazione imprenditoriale che permetterà la realizzazione di una zona artigianale di servizi molto grande. Parliamo di 24 ettari. Come amministrazione vogliamo agevolare e sostenere gli imprenditori. Ma anche in questo caso le amministrazioni possono far poco, anche a causa della burocrazia e dei tempi troppo lunghi della pubblica amministrazione italiana.

Amministrazioni comunali e sindaci hanno le mani legate oppure possono dare qualche contributo per sburocratizzare la nostra pubblica amministrazione?

La legge Bassanini ha diviso le competenze. Politicamente rispondono il sindaco e la sua amministrazione – deputati a fare le scelte – ma l’attuazione dei processi è in mano alla burocrazia. Molto sta nella capacità di costruire uffici tecnici con personale efficiente. Sono stato criticato per aver detto che la pubblica amministrazione, troppo spesso, risponde “non si può fare”. Ma è così: i funzionari hanno un ruolo fondamentale e, se non sono collaborativi, la buona volontà dell’amministratore è vanificata.

E come si può creare una squadra di funzionari efficienti?

Il blocco delle assunzioni ci ha danneggiato molto. E’ vero che in passato i comuni avevano assunto un po’ a casaccio e senza rispettare tutti i criteri ma bloccare tutto come avviene oggi è sbagliato.

Quanto è importante la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali locali?

E’ un tema fondamentale anche perché incrocia, a mio avviso, un aspetto ancor più profondo: il modo di intendere la democrazia in questo nuovo secolo. I modelli di democrazia che valevano nel ‘900 sono validi anche adesso? Il cittadino può davvero delegare il sindaco per 5 anni o è necessario continuare ad interpellarlo?

A Cerveteri ci state lavorando?

Abbiamo fatto un’esperienza bellissima sul nuovo piano regolatore: un percorso partecipato durato quasi 2 anni. Abbiamo pubblicato le linee guida del piano e prima di farlo diventare definitivo abbiamo incontrato migliaia di persone. Quasi tutte le indicazioni che ci sono arrivate sono state inserite nel piano.

Perché quasi?

Perché abbiamo trascurato le indicazioni completamente in disaccordo con i nostri principi. L’amministrazione deve filtrare le proposte, altrimenti viene meno la sua funzione di indirizzo politico della città.

È vero che state varando un progetto di ascolto costante della cittadinanza?

Stiamo lavorando a un’idea ancora embrionale, siete i primi a cui lo dico: stiamo ragionando su un modello simile alla Svizzera dove i cittadini vengono continuamente chiamati ad esprimersi. Sia su tematiche di valore generale che su questioni più di dettaglio.

Parliamo di referendum consultivi? L’esito sarebbe vincolante oppure no?

È uno strumento non normato, starà a noi capire come declinarlo. Da un certo punto di vista la partecipazione è un’arma a doppio taglio ma chiedere ai cittadini cosa pensano di un tema e poi non tener conto della loro risposta non ha molto senso. Se si avvia una consultazione, ci deve essere voglia di rispettarla. Se l’amministrazione ritiene di avere già la risposta, non consulta i cittadini. Ma, se chiede la loro opinione, deve tenerne conto quando prenderà le sue decisioni.

Da associazione “Italia in Comune” si è trasformata in un vero e proprio partito?

Tre anni fa ho lanciato questo progetto con l’obiettivo di costruite una rete di amministratori locali che si scambiassero buone pratiche e soluzioni concrete. Da Nord a Sud i problemi, in fondo, sono spesso gli stessi. Dopo 3 anni di lavoro intenso, abbiamo però realizzato che fosse necessario un passo in avanti ulteriore.  E abbiamo creato una forza politica nuova, nazionale, che ha nell’impegno e nel radicamento sul territorio i suoi punti di forza.

Avete creato quello che i media definiscono “il partito dei sindaci”?

Non sarà un partito unitario dei sindaci, ma dei cittadini. L’idea è di presentarci per la prima volta agli elettori in occasione delle prossime elezioni politiche: non quelle del 4 marzo, ma quelle successive. Decidere di nascere a tre mesi dalle elezioni e non candidarsi è stato voluto: le cose vanno fatte con i tempi giusti.

Chi ha aderito per ora?

Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti – che insieme a me ricopre il ruolo di coordinatore nazionale –, il primo cittadino di Latina Damiano Coletta e tanti amministratori provenienti da realtà territoriali diverse. Alcuni hanno già aderito formalmente al nostro progetto, altri invece – come il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris – guardano a noi con interesse.

La vostra area politica di riferimento è il centrosinistra?

Io sono un uomo di centrosinistra. Nella mia città ho costruito un percorso civico che dura ormai da 15 anni ma nella mia amministrazione ci sono forza civiche provenienti dall’intero arco costituzionale, compreso il centrodestra. E’ ovvio però che sia necessario condividere i valori, non credo si possa stare insieme soltanto per vincere.

“Italia in Comune”, dunque, può essere definito un movimento politico di centrosinistra?

Personalmente m sento vicino alla sinistra italiana ma non posso nascondere che a “Italia in comune” abbiano anche aderito amministratori provenienti dal centrodestra. Finché non avremo definito una carta dei valori chiara e condivisa da presentare al pubblico, sarà difficile dire qual è nostra collocazione politica. Non sto dicendo che saremo un po’ di destra e un po’ di sinistra: avremo presto una nostra carta dei valori e chi non la condividerà non potrà partecipare al nostro progetto.

I partiti sono in crisi anche perché non riescono più a formare la classe dirigente del presente e del futuro. L’unico elemento di selezione è rimasto l’amministrazione locale?

È uno strumento fondamentale, senza dubbio. Anche perché gli amministratori locali sono gli unici ad essere scelti direttamente dai cittadini. E non è un fatto di poco conto.

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