Nel 2016 insieme a Riparte il Futuro e a molte altre organizzazioni, avete lanciato la campagna “Sai chi voti?” rivolta ai candidati sindaci e ai consiglieri comunali, chiedendo ai futuri eletti una serie di impegni in tema di trasparenza. Come percepisce l’impegno degli amministratori locali verso questo tema?
Siamo rimasti un po’ perplessi e delusi dalla risposta degli eletti. Ci aspettavamo una maggiore adesione alle nostre richieste della campagna “Sai chi voti?”. Una delle richieste più interessanti era quella di audizioni pubbliche per i dirigenti in particolare per le società municipalizzate e per le controllate. È la stessa Corte dei Conti a dirci che in queste società si annidano maggiori sprechi di risorse pubbliche e casi di corruzione. Il problema principale non sono le mancate adesioni alla campagna ma chi ha aderito e poi non ha mantenuto la promessa. E’ molto grave. Come può sennò la società civile farsi valere? Il rapporto con la società civile anche da parte dell’amministratore locale non deve essere strumentale e utilitaristico. L’esperienza ci insegna infatti a fare richieste che comportino anche il loro monitoraggio nel tempo.
Mi sa dire i numeri di chi rispetta l’impegno e chi lo disattende? Può farci degli esempi concreti?
Prendiamo come esempio quello delle due sindache elette del M5S di Torino e Roma, entrambe hanno aderito alla campagna. Chiara Appendino seppur con dei ritardi (noi avevamo chiesto che le audizioni si tenessero entro 100 giorni) ci ha incontrato nuovamente impegnandosi a farà quanto promesso. Per quanto riguarda Roma basta leggere i giornali di questi mesi e scoprire che alcune nomine non erano state fatte secondo le richieste della campagna.
Pochi giorni fa l’Ufficio di Presidenza della Regione Lombardia ha approvato il regolamento di attuazione della legge regionale sulle attività di lobbying. Dalla vostra esperienza quale amministrazione locale ha più a cuore (o gestisce meglio) il tema della trasparenza della rappresentanza di interessi?
Certamente le Regioni tra gli enti territoriali si sono interessate maggiormente alla regolamentazione delle attività di lobbying. Tuttavia queste iniziative sono ancora sperimentali. È necessario aspettare almeno un anno per capire se queste regolamentazioni daranno frutti e questo vale soprattutto per regioni importanti economicamente come la Lombardia o strategiche come la Calabria. Senza una normativa ad ombrello nazionale il rischio è quello di avere tante, piccole e diverse regolamentazioni che possono rendere difficile la vita a chi l’attività di lobbying la deve svolgere in maniera etica, trasparente e responsabile. Un punto negativo che vorrei sottolineare riguarda il sistema sanitario, uno dei più esposti, nel quale confluiscono tante risorse pubbliche: non si sta facendo niente e sappiamo bene quanto l’attività di lobbying in questo settore sia forte.
Per un’organizzazione come Transparency International è necessario avere un’interlocuzione con le amministrazioni nazionali. Qual è il vostro grado di interazione? Quali benefici riscontra?
Il livello di interazione è elevato e profondo. La comunicazione pubblica, le campagne, le petizioni e le ricerche servono a formare quella che è per noi l’attività più importante: l’advocacy cioè il portare davanti alle istituzioni le nostre istanze facendo valere il nostro peso, sperando che trovino uno sbocco positivo. Lavoriamo con l’Anac di Cantone con la quale abbiamo stipulato un protocollo specifico per la gestione delle segnalazioni dei whistleblowing. Lavoriamo con il Parlamento e con le commissioni di Camera e Senato a cui proponiamo disegni di leggi o con cui collaboriamo per le fasi emendative dei disegni di legge di nostro interesse. Più complicata la collaborazione coi Ministeri.
Quali criticità in questo rapporto?
Le criticità particolari sono legate alla strumentalizzazione. A tutti fa piacere dire che collaborano con Transparency per attuare leggi o regolamenti più trasparenti. È capitato che la collaborazione con noi venisse strumentalizzata a fini esclusivamente comunicativi. Tante purtroppo le proposte di legge che poi sono naufragate o rimaste bloccate a metà. Un esempio su tutti? Una legge di regolamentazione delle lobby a livello nazionale. Tutte le forze politiche si dichiarano favorevoli ma dopo più di 2 anni il ddl è fermo al Senato. Il 50esimo tentativo di regolamentazione del fenomeno nella storia della Repubblica.
I-Com nel 2015 ha pubblicato il “Manifesto delle buone relazioni tra territori ed imprese”. Quali devono essere le priorità nelle relazioni tra amministrazioni territoriali ed imprese?
Partecipazione e tempi di pagamento. La politica troppo spesso si è mossa indipendentemente senza ascoltare i territori e gli attori locali creando scollamento tra paese reale e paese raccontato dalla classe dirigente. Purtroppo il paese reale è molto diverso e le sue problematiche sono molteplici. Le amministrazioni devono cominciare a coinvolgere anche le imprese e i cittadini. Sulla partecipazione abbiamo lavorato molto con un’attività di lobbying per il tema dell’open government. I tema dei tempi di pagamento sembra banale ma essenziale. Innanzitutto in un periodo di crisi il pubblico non può permettersi di non pagare il privato quando questo lavora per lui. Il secondo elemento di criticità oggettiva è più ideale: la mancanza o la procrastinazione dei pagamenti aumenta la sfiducia verso lo Stato. E questa sfiducia fa allontanare prioritariamente proprio i migliori e i capaci, lasciando così operare quelli meno competenti.
* Laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Milano, Davide Del Monte è dal 2014 Direttore Esecutivo di Transparency International Italia, sede nazionale dell’ONG per la lotta alla corruzione presente in oltre 100 paesi del mondo.