Paese che vai, Nimby che trovi. In Italia troppi “NO” a opere e infrastrutture



    

“Ovunque tranne che qui”. È questo il senso dell’acronimo Nimby – Not in my backyard –, letteralmente non nel mio giardino, utilizzato per indicare una particolare categoria di gruppi di interesse a base territoriale che con il ricorso a forme di protesta manifestano il loro dissenso alla realizzazione di opere infrastrutturali: dalla centrale nucleare all’inceneritore di rifiuti, dall’aeroporto all’autostrada ma anche, per esempio, dicendo “no” alla costruzione di una prigione. Perché? Per il nobile motivo che chi risiede nel proprio territorio vuole impegnarsi per salvaguardarlo dalle minacce provenienti dall’esterno. Ma spesso anche per motivazioni ideologiche o scarsa informazione; oppure perché chi propone la realizzazione di un’opera non è altrettanto abile nel comunicarne i benefici attesi.

Dal 2004 l’Osservatorio Nimby Forum monitora i fenomeni di opposizione alla realizzazione di svariati progetti e iniziative, dando sostanza alla tesi che vede nei fautori del “NO a tutti i costi” una concausa del gap dell’Italia sotto il profilo infrastrutturale e dei servizi. Il rapporto relativo al 2016 presentato un paio di settimane fa ha censito 359 casi di opposizioni verso opere di utilità pubblica e nuovi impianti, che nel complesso hanno generato un aumento del 5% di contenziosi locali rispetto al 2015. I settori maggiormente bersagliati sono stati energia (56,7%) e rifiuti (37,4%): per quanto riguarda gli impianti energetici, non sorprende che le contestazioni siano per così dire “trasversali”, vale a dire che ad essere avversati dai cittadini sono sia impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (p. es. 13 casi di contestazioni riguardano centrali eoliche) sia le più convenzionali attività di ricerca e prospezione di idrocarburi e gli impianti per il trattamento dei combustibili fossili. Altrettanto variegata è la tipologia di iniziative nel settore rifiuti ad essere sistematicamente bersagliate dagli strali dei nimby nostrani, dagli impianti per il riuso dei rifiuti a scopi energetici (37 casi) alle discariche (30).

Inoltre, l’analisi del Nimby Forum consente di individuare nel Nord Italia alcune aree in cui vi è una frequenza maggiore di opposizione, come la Lombardia (56 impianti contestati) e l’Emilia Romagna (48 impianti); tuttavia, se si considerano l’estensione territoriale e il numero totale di progetti contestati, è la Basilicata a guadagnarsi il triste primato di regione “più litigiosa” con ben 32 casi di impianti su cui non vi è stato il “benestare” delle popolazioni locali. Ovviamente i cittadini si organizzano, studiano e approfondiscono, ma un ruolo trainante verso l’esplosione della protesta viene spesso svolto dalla classe politica locale che nel 50% dei casi è all’origine della mobilitazione contro la realizzazione delle opere. Infine, è da segnalare che un terzo delle contestazioni imbocca la via amministrativa, vale a dire che lo scontro si sposta nei tribunali regionali e al Consiglio di Stato, generando ulteriori ritardi e danni economici per le imprese e i territori.

L’articolo de Il Sole 24 Ore

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