Non ci fidiamo più degli scienziati?

Opinione

26-02-2016     * Emilio CONTI, Università IULM di Milano e consulente di Public Affairs Advisors

Ogm, Xylella, perforazioni petrolifere, vaccinazioni. Tutti temi a forte valenza scientifica che troppo spesso nel nostro Paese vengono affrontati in maniera superficiale o peggio facendo riferimento a contenuti e argomentazioni che di scientifico hanno poco o nulla.

In Italia negli ultimi anni sembra che la Scienza, intesa come comunità scientifica, quella dei laboratori, delle accademie, dei ricercatori che investono anni in esperimenti e confronti, non sia più il faro che orienta le scelte strategiche della nostra Società. Pare anzi che né la classe politica, che tiene conto molto spesso degli umori mediatici che si generano intorno a un determinato argomento, né il mondo dell’informazione, che spesso persegue argomentazioni “di facile presa”, riconoscano più quell’autorevolezza e “sacralità” al mondo scientifico, così come invece è accaduto in altre epoche e ancora accade in altre regioni del mondo.  Non si sottraggono a questa tendenza le associazioni, che sovente scelgono come “sponsor” di loro interessi legittimi soggetti che però nulla hanno a che vedere con il dibattito scientifico.

La Rete in questo la fa da padrone. Un esempio: il tema delle vaccinazioni obbligatorie per i bambini in età scolare. In seguito ad alcune notizie apparse sul web, amplificate da alcuni media e basate su argomentazioni poco scientifiche in cui si definiscono le vaccinazioni inutili o addirittura dannose per i bambini, si è innescata un’aspra polemica sulla loro effettiva utilità. E il primo risultato, molto pericoloso, di queste notizie, diffuse in particolar modo attraverso i social network, è stato che, per la prima volta dal dopoguerra, c’è stata una diminuzione della percentuale dei bambini vaccinati e sono riapparse alcune malattie che, almeno in Italia, sembravano scomparse da tempo. La comunità scientifica è oggi fortemente preoccupata per i rischi alla salute che derivano da queste false informazioni che alcuni giornalisti, poco professionali e poco preparati, amplificano spesso esclusivamente per attirare attenzione o per mettersi in mostra.

Un altro esempio: la situazione che si è venuta a creare in Puglia con la diffusione del batterio Xylella fastidiosa che sta minacciando gli ulivi in particolare nella parte meridionale della regione e che, analizzata nel dettaglio, sembra quasi avere dei risvolti paradossali.

Dopo la scoperta del batterio patogeno, per mesi i ricercatori pugliesi, dal CNR alle varie Università, hanno lavorato per cercare una via per contrastare la sua diffusione. L’Unione Europea nel contempo, nel timore di una diffusione del contagio verso Nord, ha chiesto “rigide misure di eradicazione” nelle aree infette. Misure che si sono tradotte in un piano che prevede il taglio di tutte le piante, infette o meno, nel raggio di 100 metri dalla pianta malata. Questo drastico intervento è stato giudicato inutile anche da coloro che stanno cercando di studiare i rimedi, in quanto la Xylella infetta non solo l’ulivo, ma anche altre specie arboree comuni nella regione. Per cui il taglio degli ulivi non ne impedirebbe la diffusione.

In questo contesto si inserisce l’intervento della Procura di Lecce che nel dicembre scorso ha disposto il sequestro di tutti gli ulivi che erano destinati ad essere abbattuti e ha inviato avvisi di garanzia al commissario del governo nominato per gestire l’emergenza e ad altri nove esperti e ricercatori che si sono occupati del caso. In poche parole, come evidenziato molto bene in un articolo di Paolo Mieli sul Corriere della Sera nel gennaio di quest’anno, sono stati indagati i ricercatori che stanno lavorando su Xylella con l’accusa di aver diffuso colposamente la malattia e presentato poi i fatti in modo tale da poter avallare come soluzione l’eradicazione delle piante malate, per legittimare lo sterminio degli ulivi salentini. A tutti gli effetti un complotto!  Se così fosse, si tratta del più grande complotto mai realizzato da attori istituzionali ai danni di un territorio e della loro principale ricchezza: la natura. Se invece i Magistrati di Lecce stessero sbagliando, potrebbe trattarsi dell’ennesimo attacco alla Scienza.

Di esempi potrebbero esserne fatti molti altri. Il problema è cercare di ridare un ruolo e un peso alla comunità scientifica – quella vera – che oggi troppo spesso viene additata come al servizio dei “poteri forti” solamente perché difende dei principi rigorosi e delle tesi innovative che sono successivamente riprese dall’industria per sviluppare nuove attività economiche.

Ma forse questo è un obbiettivo che compete anche alla Scienza stessa.

* Laureato in biologia a Milano, ha lavorato come ricercatore universitario in Francia – Université Paris VI e Istituto Pasteur – e a Milano – Università degli Studi e CNR. Da oltre vent’anni svolge attività di consulenza aziendale nei settori della comunicazione d’impresa, delle relazioni pubbliche e nelle relazioni istituzionali e industriali. Insegna Comunicazione ambientale presso l’Università IULM di Milano. Tra gli ideatori e organizzatori del Festival dell’Energia e del NimbyForum, il primo Osservatorio media permanente sui conflitti ambientali e territoriali, di cui è stato il Responsabile scientifico fino al febbraio del 2012.  

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