La resilienza dell’economia lungo la via Emilia

Opinione

02-08-2016     Stefano DA EMPOLI

In anni di crescita anemica o di decrescita dell’Italia, spicca per contrasto la performance dell’Emilia Romagna, messa a fuoco dal recente Rapporto I-Com “Il sistema economico emiliano-romagnolo e i rapporti tra le amministrazioni del territorio e le imprese”. Con l’eccezione del 2009, anno horribilis per l’economia nazionale e ancor di più per quella emiliano-romagnola, nel decennio 2005-2015 il trend del PIL regionale è stato sempre migliore della media nazionale. A volte in maniera netta (si pensi al 2011, quando si registrò una crescita del PIL regionale del 2,6% contro lo 0,6% nazionale, tutto sommato non troppo distante dallo strabiliante +3,6% fatto registrare quello stesso anno anno dalla Germania). Altre volte in maniera più lieve ma costante, come nel 2014, quando il segno meno a livello Italia (-0,4%) fu ribaltato in un segno più quasi equivalente in termini assoluti (+0,3%).

Questo non significa che l’Emilia Romagna non abbia sofferto dal 2008 in avanti. L’economia regionale non ha ancora riguadagnato il terreno perduto e dopo il biennio difficile 2012-2013 ha ripreso a crescere solo dal 2014 (a ritmi piuttosto modesti). Ma ha tenuto meglio di tutte le altre, tranne il Trentino Alto Adige (non a caso la meno “italiana” delle Regioni, non solo per ragioni culturali) e a pari merito con la Lombardia. Merito soprattutto della resilienza del settore manifatturiero che, caso quasi unico in Italia, con l’eccezione del 2009, quando scese al 20,0% sul valore aggiunto totale, ha oscillato nell’ultimo decennio tra il 22% e il 24% senza evidenziare alcun trend decrescente. A fronte di una media nazionale ormai crollata al 15%, ben al di sotto del target del 20% che si è dato l’Unione Europea (e con ogni probabilità ormai fuori della portata di molti degli Stati Membri nonché di gran parte delle Regioni italiane).

La resilienza del settore manifatturiero lungo la via Emilia va ascritta in larga parte all’export, aumentato nel periodo 2004-2014 del 60,4% (contro una media nazionale del 45,5%). Basti pensare che nel 2015 il surplus commerciale dell’Emilia Romagna da solo valeva il 36% di quello italiano.

Un risultato che premia in particolare tre fattori che il sistema emiliano-romagnolo ha saputo valorizzare di più e meglio rispetto ad altri territori: la capacità di innovazione, la formazione e le infrastrutture.

Nel Rapporto I-Com, si evidenzia in particolare la quota del PIL destinata alla R&S, che con l’1,7% si colloca al secondo posto dietro il Piemonte e al pari del Lazio (dove però pesa per oltre due terzi il ruolo della ricerca pubblica). Ma anche i tanti progetti di smart city (l’Emilia Romagna è la Regione leader in Italia secondo l’Osservatorio dell’ANCI) e la densità di start-up (con 153 per 1 milione di abitanti, l’Emilia Romagna si fa superare soltanto dal Trentino Alto Adige e si colloca nettamente al di sopra della Lombardia che si ferma a 127).

Sulla formazione, tutti gli indicatori, dall’educazione primaria a quella terziaria dimostrano la buona qualità di scuole e università emiliano-romagnole e una buona connessione (almeno in termini relativi rispetto a una media nazionale tutt’altro che esaltante) con il mondo del lavoro.

Infine, la buona dotazione infrastrutturale, unita a un’innegabile centralità geografica, consente all’Emilia Romagna un relativo vantaggio competitivo. Che coinvolge non solo le reti ferroviarie e autostradali ma anche ormai il traffico aeroportuale, grazie alle ottime performance dello scalo di Bologna, consentite da una collaborazione tra istituzioni altrove sconosciuta.

In ultima analisi, è la buona qualità della collaborazione tra istituzioni e tra queste ultime e il sistema di imprese che spiega almeno in parte i traguardi raggiunti.  In attesa di nuovi e magari più ambiziosi obiettivi, che pongano l’Emilia Romagna in diretta competizione con le migliori Regioni europee.

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