Si allunga l’elenco di Regioni che approvano una legge sulla disciplina delle attività lobbistiche. Due amministrazioni del Sud Italia – Calabria e Puglia – e una amministrazione del nord, la Lombardia, intervengono sul tema della rappresentanza di interessi.
Prima in ordine cronologico è la Calabria, che lo scorso febbraio ha istituito, tramite legge regionale, un registro pubblico diviso in due sezioni: una per la Giunta regionale e l’altra per il Consiglio. L’impianto della legge offre ai soggetti registrati la facoltà di intervenire nel processo decisionale attraverso studi e rapporti.
La Lombardia ha introdotto, a cavallo tra giugno e luglio, un registro dei rappresentanti di interessi, i cui iscritti sono tenuti a specificare le proprie generalità, indicare l’interesse che rappresentano, elencare i decisori pubblici nei cui confronti vorranno esercitare attività di rappresentanza e presentare, con cadenza annuale, un rapporto sull’attività svolta. Su quest’ultima avranno titolo a pronunciarsi i consiglieri regionali che sono stati destinatari delle attività di pressione. La legge prevede diverse sanzioni nel caso in cui costoro riscontrino dichiarazioni non veritiere o scorrette.
La Puglia, per finire, dove la Giunta ha presentato un disegno di legge (che spetterà al Consiglio regionale approvare). Anche qui è previsto un registro pubblico, con i soliti obblighi di trasparenza a carico dei lobbisti. Il vincolo, qualora il testo venisse approvato nella forma attuale, si estende a tutti gli uffici regionali.
Una vittoria a metà, titolerebbe un quotidiano sportivo. Apprezzabile lo sforzo delle tre amministrazioni regionali di intervenire sulla disciplina degli interessi lobbistici, introducendo un impianto di regole a presidio della trasparenza. Il contenuto però è ampiamente perfettibile. Rimane l’impostazione concettuale (altrove ampiamente superata, basti guardare il caso di Bruxelles) del vincolo di trasparenza imposto al lobbista, prima, e solo in subordine al decisore pubblico. Si ripropone la vecchia soluzione del “premio” – ossia la possibilità di influenzare i processi decisionali con studi e audizioni – a fronte della registrazione, ignorando completamente la complessità e la ramificazione dei processi decisionali. Si reitera, infine, un vecchio errore di metodo: equiparare tra loro i gruppi di pressione, senza tentare una distinzione tra portatori di interessi della società civile e del settore industriale. Senza contare, come è stato fatto notare dagli addetti ai lavori, che i nuovi registri (quando e se entreranno in vigore, senza regolamenti di attuazione rimangono mere dichiarazioni di intenti) sommandosi a quelli esistenti proseguono nella parcellizzazione dei sistemi di regole delle amministrazioni locali.
* L’articolo è stato pubblicato sul sito di Transparency International Italia il 22 luglio scorso.









