Guido Castelli (sindaco di Ascoli): “La competitività del sistema Paese passa dai territori”

Intervista

19-02-2018     Andrea PICARDI

Il taglio dei trasferimenti statali ha portato molti comuni in uno stato di precarietà sistemica”. E ancora, sempre sui fondi a disposizione delle amministrazioni comunali: “Senza una riforma che ridia certezze in termini di risorse economiche e finanziarie, ogni altro atto sarebbe estemporaneo e dannoso”. Parola di Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno dal 2009, delegato nazionale per la finanza locale di Anci e presidente di Ifel, la fondazione dell’associazione dei comuni italiani che si occupa sempre di economia locale. Un quadro che non lascia spazio a dubbi quello tracciato dall’esponente di Forza Italia: “Abbiamo vissuto anni di economia di guerra: oltre ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, chi ha subito più di tutti questa crisi sono state proprio le amministrazioni pubbliche del territorio”. Eppure, nonostante tutte queste difficoltà, i progetti sul territorio non si sono fermati, anzi. Come ha confermato lo stesso Castelli in questa conversazione nella quale ha ricordato alcune delle iniziative in programma ad Ascoli, il comune di cui è sindaco. Che – nell’ultima classifica del Sole 24 Ore – è risultato essere primo in Italia nella sezione “lavoro e innovazione”.

Castelli, per garantire sviluppo ai territori è fondamentale, ovviamente, favorire gli investimenti. Come si sta muovendo la sua amministrazione per rispondere alle esigenze delle imprese?

Per rendere attrattivo il territorio è prioritario rendere fluida l’azione amministrativa degli uffici che sovraintendono ai rapporti tra impresa e pubblica amministrazione. In materia di investimenti, e non solo, questo obiettivo purtroppo è quasi un miraggio. Il nuovo codice degli appalti, la mutevole giurisprudenza amministrativa in materia incanti pubblici, la progressiva perdita di competitività del capitale umano delle amministrazioni e la nuova contabilità armonizzata dei bilanci comunali sono alcune delle esternalità negative che, di fatto, indeboliscono la capacità di spesa in conto capitale delle autonomie locali. In un simile contesto, tuttavia, il rapporto con le imprese può essere alimentato attraverso il ricorso al partenariato pubblico privato (Ppp).

In che modo il partenariato pubblico privato può sostenere l’attività delle amministrazioni pubbliche e dei comuni?

Nel periodo in cui il patto di stabilità ha bloccato gli investimenti pubblici il partenariato pubblico privato ha rappresentato una valida alternativa per gli amministratori desiderosi di rigenerare le aree urbane e di attivare nuovi servizi. Tra il 2002 e il 2016 sono quasi 90 i miliardi investiti con il Ppp per opere e servizi nei settori dell’edilizia sociale e pubblica, negli impianti sportivi, per l’arredo urbano e il verde pubblico. In questo lasso di tempo circa l’80% dei bandi sono dei comuni. Grazie al Ppp attualmente le amministrazioni comunali riescono ad alimentare un quarto delle proprie opere pubbliche, andando a coprire il 66% del valore di queste ultime. Il comune di Ascoli Piceno si muove in questo solco. Cercando anche – la seconda leva – di creare nel territorio le migliori condizioni perché gli investitori e le imprese restino qui. Il caso dello stabilimento Barilla, da 35 anni attivo nel nostro comune, conferma questa capacità di attrarre e trattenere.

In base alla sua esperienza cosa occorre all’aziende per poter investire con successo in un determinato territorio?

Collaborazione da parte dell’amministrazione pubblica. Collaborazione che nasce anche da una cultura di impresa che nel nostro Paese trova ancora troppe ostilità, come se il profitto fosse percepito come una colpa. Impresa, comunità e pubblica amministrazione devono trovarsi sempre più alleati.

Sul versante degli investimenti pubblici invece come procede? Negli anni i comuni sono stati sottoposti a limiti sempre crescenti…

I comuni sono i soggetti pubblici che più di tutti stanno valorizzando le possibilità di una nuova infrastrutturazione di interesse pubblico. Veniamo da un lungo periodo di investimenti “bloccati”. Gli investimenti fissi lordi sono passati dai 15 miliardi del 2004 ai poco più di 8 miliardi nel 2014. Qualcosa sta finalmente cambiando. Nel 2015 gli impegni in conto capitale hanno segnato una ripresa decisa: +1,3 miliardi.

Quanto ha inciso sulla capacità d’investimento del comune la riduzione dei trasferimenti statali?

Il taglio dei trasferimenti statali ha contribuito a portare molti comuni in uno stato di precarietà sistemica. Quasi impossibile programmare investimenti in una condizione di assoluta incertezza sia sul fronte delle regole che delle possibilità di alimentazione della spesa locale. Trasferimenti tagliati e imposte locali destinate a colmare il bilancio dello Stato. Abbiamo vissuto anni di economia di guerra: oltre ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, chi ha subito più di tutti questa crisi sono state proprio le amministrazioni pubbliche del territorio. Comuni in testa. La spesa corrente è stata falcidiata. In cinque anni tra tagli e mancati trasferimenti sono mancati 12 miliardi ai nostri bilanci.

Siamo in una fase di accesa competizione elettorale. Qual è a suo avviso la prima cosa da fare nella prossima legislatura per sostenere i comuni nel loro ruolo sul territorio?

Una riforma organica della finanza locale. Senza una riforma che ridia certezze in termini di risorse economiche e finanziarie dei comuni, ogni altro atto sarebbe estemporaneo e dannoso. Negli anni appena trascorsi, dal governo Monti in poi, abbiamo assistito alla demolizione progressiva di ogni progetto federale. Paradossalmente, proprio negli anni in cui il federalismo è diventato tema condiviso – la riforma del Titolo V della Costituzione decretato dai governi di centrosinistra e il federalismo fiscale conquistato a parole dopo la lunga battaglia del centro-destra – l’autonomia del territorio è stata negata, nei fatti, da un centralismo sempre più soffocante, in nome di un dissesto dei conti pubblici, per il quale i comuni hanno fatto molto più di quello che sarebbe stato equo e sensato. Oggi gli enti locali hanno un saldo positivo di finanza pubblica, mentre non altrettanto si può dire per le amministrazioni centrali. La riforma della finanza locale può aiutare a far ripartire il Paese. Se ripartono le comunità, i territori, i comuni, riparte l’Italia.

Per la competitività del sistema Paese da dove inizierebbe?

Dalle risorse umane. E dalla sussidiarietà. Dalle risorse umane e, quindi, dalle persone, dalla formazione, dalla integrazione sempre più forte tra percorsi di studio ed esperienze di lavoro. Ciò vuol dire anche famiglia e politiche che riconoscano la centralità del ruolo che ha e ha avuto nel nostro Paese. Il welfare familiare è una delle caratteristiche che ha consentito all’Italia di resistere meglio di altri Paesi alla durezza della crisi economica di questi anni. La rete di protezione sociale del Paese ha avuto nella famiglia il suo pivot. La sussidiarietà è una derivata di questa centralità delle comunità. Lo Stato centrale deve essere solo il luogo cui si ricorre per risolvere quei problemi che non possono avere sintesi sul territorio. La sussidiarietà rimette al centro i cittadini e il loro comune associarsi.

Nell’ultimo report del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, Ascoli è al primo posto nella sezione lavoro e innovazione. Addirittura sopra Milano. Perché? Che cosa state facendo in questo senso?

Come accennavo il nostro territorio ha avuto un’antica vocazione all’impresa e al lavoro. Nel caso della Barilla si tratta di una lunga collaborazione. In altri casi, in certe aree, era necessario procedere a forti riqualificazioni. E questo è avvenuto e sta avvenendo: si stanno sviluppando nuove forme di imprenditorialità, anche giovanile. D’altronde il primato riconosciuto dalla classifica del Sole 24 Ore riguarda proprio le città medio piccole. Ascoli è in testa per la sezione “lavoro e innovazione”, ma poi vediamo Belluno, Trento, Bolzano, Aosta e tante altre. Insomma c’è un’Italia “in salita” che sta assicurando una qualità della vita senza confronti.

Ascoli città a misura di start-up?

Tra le grandi e belle novità che hanno consentito ad Ascoli di ottenere questo ambizioso primato c’è un’esperienza di acceleratore di imprese, Hub21, sorto proprio sull’area di una grande operazione di recupero. Hub21 raccoglie e aiuta una quarantina di start up. Quaranta start up in una città di circa 50.000 abitanti è una bella media!

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