Le opportunità e i limiti dei processi partecipativi

Opinione

21-11-2016     Gianluca SGUEO

Le regole della partecipazione, in Italia, si stanno sviluppando a macchia di leopardo. Amministrazioni virtuose investono energie e risorse per alimentare il coinvolgimento delle comunità locali nelle decisioni pubbliche; in forte ritardo rispetto a queste ultime, ci sono altre aree del territorio nazionale, al Nord al Sud, in cui è carente, o assente, un dialogo strutturato tra amministratori locali e cittadini.

Nelle amministrazioni virtuose, al modello di partecipazione disciplinato dal legislatore nazionale si affiancano – a volte sostituendolo – percorsi ideati per rispondere alle esigenze delle comunità locali. Sono soluzioni sperimentate per funzionare in contesti circoscritti, ritagliate sulle esigenze delle comunità cui fanno riferimento. Eppure presentano almeno tre elementi comuni. Il primo è quello della semplificazione. Non solo nelle grandi città. Anche nelle piccole amministrazioni il carico burocratico per imprenditori e famiglie può essere gravoso. Gli amministratori locali che lo intuiscono lavorano affinché il rapporto con i propri cittadini sia più semplice. A Parma, per citare un caso, esistono le “passeggiate di quartiere”, nel corso delle quali il Sindaco o l’assessore competente accompagna i cittadini prendendo nota dei piccoli problemi e adoperandosi poi per risolverli. Il secondo elemento comune tra le esperienze virtuose di partecipazione sperimentate sul territorio è nella creatività. È grazie allo spirito di inventiva degli amministratori che diverse fasce delle popolazione trovano uno stimolo a partecipare. Nel bilancio partecipato, per fare un esempio, i Comuni e le Regioni offrono ai cittadini uno stimolo per allocare le risorse pubbliche in base alle loro esigenze. Bari, ad esempio, tra le città che hanno sperimentato il bilancio partecipativo, ha costruito un sistema snello per raccogliere le opinioni dei cittadini e poi convogliarle rapidamente ai centri decisionali. Un ultimo elemento comune è nella durata. Le buone esperienze di partecipazione sono quelle che si radicano sul territorio e “resistono” al cambio dei vertici politici. Cambiano gli amministratori, rimangono i processi partecipativi, che diventano parte integrante dell’identità delle comunità locali. Nel caso di Pisa, modello virtuoso di cooperazione tra amministrazione, cittadini e imprese, il cambio di vertice politico non ha colpito gli istituti di partecipazione già consolidati nel tessuto cittadino.

Anche nelle aree del territorio dove la cultura – e la pratica – della partecipazione sono meno radicate, negli ultimi anni si è progressivamente sviluppata la consapevolezza negli amministratori delle opportunità offerte dagli investimenti sulla partecipazione. Naturalmente non sono interventi semplici, né a costo zero. Sono necessari, al tempo stesso, la creazione di un consenso politico, un progetto di lunga durata, che guardi al di là della fine del mandato e la creazione degli stimoli affinché i cittadini partecipino. Non sempre si creano le condizioni adatte. Accade spesso che il lancio di un’iniziativa mirata a favorire la partecipazione assuma un colore politico che non le appartiene, ma che finisce per impedire il buon esito della stessa. In altre occasioni è la mancanza delle risorse materiali o umane che ostacola il buon esito dei processi partecipativi. In alcune municipalità, Bologna e Firenze ad esempio, i limiti di budget o risorse hanno allungato i cronoprogrammi delle amministrazioni in tema di partecipazione civica. È un problema diffuso anche all’estero. L’amministrazione regionale della Cantabria, in Spagna, ha impegnato oltre quindici anni per sviluppare processi partecipativi che garantissero l’inclusione delle donne nelle decisioni pubbliche. L’ultimo ostacolo è anche il più insidioso. L’amministrazione può sviluppare un progetto eccellente, sulla carta, e arrivare a sperimentarlo sul territorio, riscuotendo però solo un successo parziale. In questi casi è solo con la lungimiranza dei vertici politici e la dedizione delle strutture amministrative preposte alla guida dei processi di partecipazione che è possibile introdurre i correttivi necessari per ottenere il coinvolgimento delle comunità interessate. Partecipazione, prima ancora che coinvolgimento, è sperimentazione e capacità di superare gli ostacoli.

L’articolo è stato pubblicato nella II Edizione del “Rapporto #NO2.0 – Come il dissenso comunica sul web” presentato a Roma il 20 ottobre 2016

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