Nonostante un leggero incremento negli ultimi anni della quota di Pil destinata alla ricerca l’Italia, con l’1,3%, è notevolmente al di sotto della media europea e non raggiunge ancora gli obiettivi previsti da Europa 2020. Il report ORTI nazionale 2016 evidenzia come solo le regioni del Nord arrivino già a spendere l’1,5% del Pil dell’area in attività di ricerca e sviluppo. In compenso gran parte degli sforzi innovativi originano dal nostro sistema produttivo. Il settore delle imprese singolarmente considerato contribuisce infatti per il 54,7% alla spesa complessiva in R&S (2013), quota peraltro in aumento rispetto all’anno precedente. Le dinamiche territoriali, ormai note, restano invariate: oltre tre quarti della spesa complessiva in ricerca e sviluppo si concentrano nelle regioni del Nord dove prevale il contributo del settore privato e delle imprese. Solo in alcune regioni il contributo delle imprese alla spesa in R&S è superiore della media nazionale: questo è vero in Piemonte (78,5%), in Lombardia (69,4%), in Emilia Romagna (66,6%) e in Veneto (66,5%).
Nonostante le pene sofferte durante i due periodi di recessione, l’attività innovativa del sistema produttivo italiano sembra trainata dal settore manifatturiero e infatti, sottolinea il rapporto, sono proprio le regioni che presentano una più intensa vocazione manifatturiera quelle dove è maggiore la quota di spesa in ricerca e sviluppo sostenuta dal settore delle imprese. Le regioni dove è maggiore la quota manifatturiera del valore aggiunto sono infatti Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. A confermare questo dato, è la Community Innovation Survey (CIS), l’indagine campionaria effettuata dagli stati membri dell’UE sull’attività innovativa nelle imprese[1], che descrive per l’Italia un settore manifatturiero tra i più innovativi in Europa, con il 58,7% delle imprese nel campione ad aver realizzato una o più innovazioni di processo o di prodotto nei tre anni precedenti l’intervista. Se la Germania ci stacca con il 71,8% di imprese innovative nel comparto manifatturiero, siamo invece ben al di sopra di Francia, Spagna e Regno Unito.
Gli sforzi innovativi delle nostre imprese avvengono però raramente grazie alla collaborazione con altri soggetti, siano essi operatori nazionali e internazionali, imprese, istituzioni pubbliche, università o centri studi. Se parliamo di industria in senso stretto, solo l’11% delle imprese innovative è coinvolto in rapporti di collaborazione per innovare e sono ancora meno, il 2,4%, quelle che collaborano con il settore pubblico e con i centri di ricerca. Tra le imprese manifatturiere innovative la partecipazione a rapporti di cooperazione per innovare è ancora inferiore: sono il 10,9% in assoluto e solo il 2,3% collabora con il pubblico e con centri di ricerca. In Spagna le imprese manifatturiere che collaborano con il settore pubblico e con i centri studi per innovare sono l’11,8%, in Germania l’11,7%, in Francia l’8,5% e nel Regno Unito l’8,4%. Il ritardo del Paese è dunque quanto mai netto in tema di collaborazioni di ricerca pubblico/ private come supporto all’industria. In parole povere, il nostro sistema produttivo dispone di una buona propensione all’innovazione che resta, però, ancora da mettere a sistema. Fino a quando questo non accadrà, l’economia si priverà delle esternalità positive e dei loro effetti moltiplicativi sulla produttività delle imprese ed anche, trasversalmente, sul contesto economico di riferimento.
[1] I dati disponibili fanno capo attualmente alla rilevazione del 2012.