Il manifatturiero al Sud e in Campania e le potenzialità dell’Industria 4.0

Opinione

25-05-2017     Michele MASULLI

La crisi economica degli ultimi anni ha evidenziato il ruolo imprescindibile del manifatturiero per la crescita. Diversi sono i punti di forza che spingono ad abbandonare il miraggio di un modello di sviluppo basato esclusivamente sul terziario: dalla capacità di generare posti di lavoro qualificati e ben retribuiti all’investimento in ricerca e sviluppo, dalla domanda di servizi che sostiene (si pensi alla logistica o alla consulenza) alla quota sull’export complessivo ai guadagni di produttività che matura. D’altronde sono numerose le analisi (ad esempio quelle prodotte dal Centro Studi di Confindustria) che evidenziano una correlazione chiara tra variazione del peso del manifatturiero sul PIL e le percentuali di crescita dell’economia. Le Istituzioni europee e nazionali si sono dimostrate consapevoli della necessità di rilancio del settore secondario. Già nel 2010 la Commissione Europea pubblicava la comunicazione “An Integrated Industrial Policy for the Globalisation Era”, seguita nel 2014 da “For a European Industrial Renaissance”; l’anno scorso il Governo italiano ha varato il Piano Nazionale Industria 4.0.

È il Sud Italia in particolare a necessitare di un rafforzamento del proprio comparto industriale. Esso esce penalizzato in misura significativa dagli anni di recessione. Rispetto a un obiettivo europeo al 2020 del 20% di quota del valore aggiunto del manifatturiero sul Pil, il Sud si ferma all’8,4% nel 2015 (dati Istat); il valore medio italiano è pressoché doppio (16%). Entrambi i dati sono in calo in confronto al periodo pre-crisi. Nel 2000, il Mezzogiorno presentava il 10,8% del valore aggiunto del manifatturiero sul totale dell’economia, l’Italia il 17,6%. Diminuisce pertanto anche il peso dell’industria meridionale sul dato italiano: il 15,2% del 2000 diventa il 12% del 201% (dati SRM). È la debolezza della produttività a frenare in modo rilevante la ripresa dell’economia meridionale. Dal 2001 al 2015, essa è diminuita del 7,2%, rispetto al -5,9% dell’Italia e al +13,4% dell’UE a 28, al +10,7% della Germania e al +11% della Francia. Nonostante questi limiti, il manifatturiero meridionale riveste un ruolo notevole nella dimensione europea: con i suoi 27 miliardi circa di valore aggiunto, infatti, supera da solo il valore complessivo di Stati come il Portogallo e la Norvegia ed è poco sotto Finlandia e Romania. I settori che trainano questa performance sono Alimentari e bevande, Metallurgia, Mezzi di trasporto, Elettronica e ottica, Gomma e plastica; per alcuni di questi, il valore aggiunto sul risultato nazionale è maggiore del dato medio, così come risulta cospicuo il contributo all’export italiano di alcune filiere meridionali, in particolare quelle relative alle “4A” (Aerospazio, Automotive, Alimentare, Abbigliamento e moda) e al settore farmaceutico (elaborazioni SRM).

La regione del Sud che incide di più sulla creazione del valore aggiunto del manifatturiero meridionale è la Campania, con il 32%. Essa si segnala per dinamismo imprenditoriale: è terza in Italia per numero di PMI innovative, quinta per start up innovative, seconda per percentuale di imprese giovanili sul totale di imprese attive in regione e presenta una quota di società di capitali in linea con il dato nazionale. Il Governo regionale, inoltre, ha approvato la “Strategia di Specializzazione Intelligente – RIS3 Campania 2014-2020”, che prevede uno stanziamento di risorse pubbliche nel settennio pari a 1,5 miliardi di euro, a cui se ne dovrebbero aggiungere altrettanti da investimenti privati e fonti indirette di finanziamento pubblico (Horizon 2020 e Programmi Operativi Nazionali); infatti, è stato conferito all’attuazione della RIS3 un ruolo prioritario nell’allocazione delle risorse rivenienti dall’intera programmazione regionale 2014-2020. Già oggi la Campania mostra un contesto regionale a tasso elevato di ricerca e innovazione tecnologica: 7 sono le Università, per più di 12.000 ricercatori, docenti e personale amministrativo; 40 gli enti pubblici di ricerca avanzata e le istituzioni private attive nei servizi di trasferimento tecnologico; 25 le strutture a sostegno dell’imprenditorialità, tra incubatori, parchi scientifici e tecnologici, Fab Lab, acceleratori e centri di servizio per le aziende, 21 laboratori pubblici privati attivi nelle filiere strategiche regionali Aerospazio, Biotecnologie, Nuovi Materiali, Energia e Agrifood, edilizia sostenibile, Cultura, Trasporti e Logistica. Soprattutto si segnalano 7 Distretti ad Alta Tecnologia (DAT), costituiti d’intesa tra Regione Campania e Miur, operanti nelle seguenti aree di investimento: DAC (Aerospazio), Campania Bioscience (Biotecnologie), Smart Power System (Energia), STRESS (Edilizia ecosostenibile), Databenc (Beni culturali), Dattilo (Trasporti e Logistica) e IMAST, il distretto sull’ingegneria dei materiali polimerici e compositi, già esistente. In più, ogni DAT è supportato da alcuni cluster di secondo livello, che sono caratterizzati da competenze “verticali”, per un totale di ulteriori 13 aggregati pubblico privati (APP – LPP). In questo modo, si mette in campo un sistema integrato di innovazione e trasferimento tecnologico finalizzato ad accrescere la competitività dei settori strategici, ad attrarre investimenti ed eccellenze scientifiche e promuovere sviluppo sostenibile. Risultano coinvolte, inoltre, circa 500 imprese attive sul territorio regionale, di cui 400 piccole e medie. A proposito, tra le partnership più significative tra imprese e mondo della ricerca, ricordiamo le due iOS Developer Academy, avviate da Apple in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e l’Università degli Studi di Salerno, e l’Hub Open Innovation, attivato da Intesa San Paolo e dall’Università “Federico II”, fucine di talenti e innovazione.

Tutte queste iniziative vanno nella direzione di voler affrontare la sfida della rivoluzione tecnologica che sta investendo i processi di produzione, così come definita da Industria 4.0, e che vede il superamento della divisione tradizionale tra industria e servizi, verso una compenetrazione di reti di informazioni, sistemi intelligenti e classici settori produttivi. Le azioni regionali, quindi, avrebbero l’effetto di rafforzare e ampliare l’impatto economico del Piano Nazionale “Industria 4.0”, che, secondo dati SRM, dovrebbe di per sé favorire una crescita della produttività a Sud del 15% in 4 anni, capovolgendo la tendenza negativa a cui si faceva riferimento in precedenza, e di conseguenza un aumento del fatturato e del Pil rispettivamente del 5,5% e dell’1% nello stesso periodo di tempo.

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